Il Conte che vinse la prima Coppa Italia
Classe 1917, il Conte Francesco Marini-Dettina prese le redini della Roma il primo luglio del 1962. Paracadutista, da giovane aveva combattuto la battaglia di El Alamein.
Divenne presidente della Roma anche grazie alla volontà dei dirigenti giallorossi di allontanare il numero uno dell'epoca Anacleto Gianni. A porgergli il testimone fu Augusto D'Arcangeli che per un periodo di tre mesi ricoprì il ruolo vacante. Guidò la Roma, dalla sede di viale Tiziano, per tre stagioni: dal 1962 al 1965 nei campionati 1962/63, 1963/64 e 1964/65.
Marini-Dettina non aveva un fiuto particolare per gli affari calcistici ma era innamorato della squadra capitolina e si fece convincere a spendere ben mezzo miliardo di lire per acquistare un non più giovane Sormani. La voglia di rilanciare la Roma in ambito nazionale ed europeo quasi lo portarono alla rovina. Non vendette mai i giocatori più prestigiosi e si sobbarcò una società piena zeppa di debiti, con un passivo di quasi un miliardo (946 milioni 190634 lire).
Riguardo la mancata partenza dalla Capitale del centravanti oriundo Angelillo, Marini Dettina dichiarò "Quando non ho ceduto Angelillo al Milan mi sono sentito un suicida economico".
L'unica vera soddisfazione che il presidente galantuomo Marini-Dettina riuscì a togliersi fu la conquista da parte della Roma della prima Coppa Italia della sua storia. I giallorossi nel novembre '64 battono il Torino nella doppia finale aggiudicandosi per la prima volta la coccarda tricolore.
Nell'autunno 1964, negli ultimi giorni dell'anno, si verificò sotto la sua presidenza uno degli episodi più tristi della storia romanista: la "colletta del Sistina". Di seguito il racconto dell'episodio fatto dal giornalista Mario Bianchini: "Da giovane apprendista, precario balbettante, muovevo i primi passi nella redazione romana de La Stampa di Torino, targata Fiat, affratellata con la Juventus.
All'improvviso mi ritrovai al centro di una storia che toccava il cuore, cominciata al campo Tre Fontane, quando Trigoria non era lontanamente immaginabile. Durante l'allenamento , il fresco tecnico Juan Carlos Lorenzo, già alle dipendenze della Lazio, si staccò dal gruppo per accostarsi al settore dei tifosi ribollente di proteste. L'oratore improvvisato aveva da urlare cose clamorose: "Volete sapere perche i giocatori sono fiacchi , come mai manchino i risultati? Ve lo dico subito. Da due mesi non ci pagano lo stipendio. Siamo sull'orlo della disperazione. Non ci sono soldi neppure per la trasferta di Vicenza". La rivelazione ebbe l'effetto di una saetta. Cominciò a serpeggiare fra i tifosi increduli, debordando sul piano umano, oltre i confini dello sport. Si aprì una gara sconcertante, del tutto inedita nel ricco mondo del pallone. Una giovane donna, sventolando un biglietto da mille lire, gridava agli altri di imitarla. Su un tavolo di fortuna, si ammucchiarono banconote di vario taglio. C'era chi metteva cento lire, altri pochi spiccioli. Intanto Lorenzo arringava la folla invitata a replicare il giorno successivo al teatro Sistina, destinato a rimanere nella storia con la dicitura di "Colletta del Sistina".
Di quell'episodio sono piene le cronache. Ma nessuno ha mai saputo del tumulto interno del cronista romanista. Quando informai i capi di Torino dell'assemblea del Sistina, si scatenò lo scherno. Sembravano inebriati immaginando la Roma costretta all'elemosina. Fecero scomodare pure il fotografo Aldo Durazzi per riprendere immagini esclusive a soddisfare in un colpo solo cronache e sarcasmo. Nel feudo juventino, si seguivano passo passo le chiamate che aggiornavano l'edizione di Stampa Sera, di lì a poche ore in edicola. Con voce rauca, il cronista romanista raccontava della colletta, destando umorismo pure allo stenografo di Torino. Che tristezza. Egli non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo. Strani giochi di potere, avevano condotto alla presidenza Marini Dettina. Un uomo animato di passione, ma sprovveduto al punto da pagare mezzo miliardo il pur bravissimo Sormani, esponendo la società a lazzi e prese in giro. Da settimane egli era scomparso. Neppure una telefonata a rincuorare i dipendenti senza emolumenti. La gente schiumava rabbia. Adesso la scena madre si consumava a teatro, sul palcoscenico beffardo a rimarcare la recitazione fra il dramma e il grottesco. La platea traboccava di folla delirante. L'incolpevole Giacomino Losi, sollecitato dalle grida, si aggirava spaurito con un secchiello in mano, zeppo di banconote. Fra se stesso mormorava : "ma in che razza di realtà sono capitato ?”. "Mi sentivo morire dalla vergogna", dichiarerà più avanti. Anch'io provai la stessa sensazione, con l'aggiunta di doverla raccontare sul giornale. Ricordo un noto macellaio della capitale agitare un cofano annerito. Dalla corporatura massiccia partiva un vocione: "Forza ragazzi. Cacciate li sordi. Dovemo sarva' la Roma. Nun fate li tirchi". Per la cronaca furono raccolte 800 mila lire, che avevano il sapore di 800 mila affanni.".
A riguardo della faccenda il capitano dell'epoca Losi dichiarò: "Ho sempre pensato che l’idea fosse stata di un gruppo di soci, che allora finanziavano la Roma, per screditare Marini Dettina. A noi giocatori non dissero nulla. Alla fine dell’allenamento, ci chiesero solo di andare a salutare i tifosi al Sistina per la festa di fine anno". In un certo qual modo Marini-Dettina, così come fu fatto insediare, fu mandato via. Dopo di lui la presidenza della Roma passò a Franco Evangelisti.
Il presidente Marini-Dettina celebra la Coppa Italia vinta dalla Roma.
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Ultima modifica di questa pagina: 27/09/2020