NEL NOME DEL PADRE

Nel nome del padre

Ispirato ad una storia vera e tratto dal libro autobiografico "Proved Innocence" (Il prezzo dell'innocenza) di Gerry Conlon. Processati come terroristi dell'IRA e autori di una strage in un pub di Guildford il 5-10-1974, quattro proletari irlandesi patiscono 15 anni di carcere prima che sia scoperta la loro innocenza. Con loro furono condannati a pene minori parenti e amici. Giuseppe (sic) Conlon, padre di uno dei quattro, morì in carcere nel 1980. Storia di un clamoroso errore giudiziario, frutto di un complotto poliziesco, coinvolgente film civile incline al sentimentalismo e alla retorica manichea, vale soprattutto come racconto di formazione nella descrizione del rapporto tra padre e figlio, rinchiusi nella stessa cella. Non mancano i passaggi declamatori o didattici né gli stereotipi della vita carceraria, ma nemmeno le pagine forti, come l'avvio a Belfast, sostenuto nel suo ritmo forsennato dalla musica di Bono-Friday.

"Quando uscirai di qui devi riabilitare il mio nome". Furono le ultime parole, rivolte al figlio Jerry da Giuseppe Conlon, morto in una prigione inglese nell'agosto del 1980.

La sua storia di uomo libero si era interrotta nel 1975, quando era diventato per la giustizia britannica uno dei capri espiatori nella lotta al terrorismo dell'IRA. Sul finire del '74 una bomba aveva devastato un pub a Guilford, nelle vicinanze di Londra, e la polizia, esasperata, si era mossa con categorica e superficiale "efficienza". Furono così arrestati alcuni giovani irlandesi (senza fissa dimora né alibi inconfutabili) ai quali, dopo incalzanti e violenti interrogatori, fu estorta una confessione-capestro. Tra loro fu individuato come leader Jerry Conlon, che la famiglia aveva mandato a Londra proprio per timore della tensione di Belfast, ove la sua spavalderia di delinquente di strada l'aveva portato a scontrarsi più volte con i rappresentanti dell'IRA. In un clima arroventato ed intimidatorio vennero catturati come complici anche alcuni suoi parenti, tra cui il padre, Giuseppe. Al processo le condanne furono "esemplari" e padre e figlio si ritrovarono nella stessa cella ad aspettare la fine dei loro giorni. Non valsero né il ricorso in appello né l'arresto di alcuni veri terroristi che confessarono tra i loro crimini anche l'attentato di Guilford.

Una scena del film Nel nome del padre Jerry e Giuseppe restarono dietro le sbarre a scoprire la brutalità del carcere e lo squallore di un'esistenza vuota di speranze e carica di rancori. "Mi aiutò a sopravvivere soprattutto mio padre Giuseppe, con la sua forza, con la sua determinazione a lottare per la verità. Ho conosciuto mio padre solo in prigione, prima lo vedevo di sfuggita come tanti ragazzi della mia età con la testa piena di voglia di vivere e di rock'n'roll. E' strano, non l'ho mai sentito tanto vicino come dopo la sua morte. La sua faccia, su cui non c'era mai la paura, non mi ha più lasciato".Jerry Conlon e i suoi compagni sono stati liberati nel 1989, grazie all'intraprendenza di una giovane avvocatessa che riuscì a far riaprire il caso, provando la loro innocenza e svergognando in aula il procedimento di polizia che aveva portato alla loro condanna. Da allora Conlon si è impegnato nella difesa dei diritti umani di altri carcerati ed ha pubblicato un libro autobiografico Proved Innocent di forte denuncia ed immancabile pathos. Gli stessi pregi si possono riconoscere oggi al film che ne è tratto, diretto proprio da un irlandese, quel Jim Sheridan di cui tutti abbiamo apprezzato il lacerante Il mio piede sinistro. In una pellicola del genere il peso del reale tende a schiacciare la verve stilistica ed in effetti Nel nome del padre pecca spesso di occlusione immaginifica, di ripetitività e talvolta anche di retorica, ancorato com'è alla coerenza della testimonianza e della denuncia.

Una scena del film Nel nome del padre Eppure, anche nel rigore di una cronaca tragica, Sheridan sa riaccendere il fascino della fiction grazie alla viscerale interpretazione di Daniel Day-Lewis, alla pacata credibilità di Pete Postlethwaite (candidato all'oscar come non protagonista per il ruolo del padre), alla tenace presenza dell'avvocatessa Emma Thompson. Quello che resta è la sconvolgente drammaticità degli scontri di Belfast, la sofferta claustrofobia della detenzione di due persone innocenti, la velata commozione per un rapporto filiale rivitalizzato nel dolore, lo sdegno verso un caso di "giustizia" biecamente disumana. Vedere per credere.

Una scena del film Nel nome del padre Una scena del film Nel nome del padre

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Ultima modifica di questa pagina: 30/12/2015