Nato a Uliveto Terme (PI) il 28 giugno 1944, Giuliano Taccola cresce calcisticamente con la squadra del suo paese, l'Uliveto, e poi nelle giovanili del Genoa. Viene acquistato dalla Roma nella stagione 1967/68, appena ventiquattrenne. Fu preso in comproprietà dal Genoa e riscattato quasi subito per la cifra di novanta milioni di lire. Prima di vestire la casacca giallorossa aveva girovagato per la Liguria fino al momento di venire notato da Fulvio Bernardini.
I tifosi giallorossi si innamorarono di lui quasi subito, portandolo spesso in trionfo intorno alla stazione Termini al ritorno da questa o quell'altra trasferta vincente. Centravanti di grande avvenire, rapido (correva i centro metri in undici netti) e con uno spiccato fiuto per il gol, divenne subito titolare in una Roma che disponeva in attacco anche di Jair e Peirò.
Nella prima stagione Taccola segna 10 reti (la Roma ne realizzerà soltanto 25 in totale), un esordio in serie A coi fiocchi considerando anche il campionato a 16 squadre e la cronica "stitichezza" degli attacchi di quei tempi (il capocannoniere campione d'Italia, Pierino Prati, vince la classifica marcatori con 15 gol).
Nella seconda stagione nelle 12 partite che riuscì a disputare fece ben 7 reti. Il Tifone, giornale sportivo dell'epoca, scriveva di lui: "Taccola è un ragazzo tranquillo, un professionista serio, uno che evita accuratamente la pubblicità gratuita. In breve è l'antidivo per eccellenza e se non è titolo di merito questo, ditemi voi che cos'è".
Nell'inverno del 1969 Taccolo iniziò ad esser preda di febbri intermittenti, un brutto momento, nonostante Helenio Herrera lo reputasse in perfetta forma e ritenesse che i medici non capivano nulla (loro continuava a chiedere analisi continue).
Venne operato di tonsille ma invano. Il disturbo del povero Giuliano era un altro, un antico vizio cardiaco che il professor Visalli riuscì a identificare. Ma il tecnico della Roma Herrera non ne volle sapere e lo tacciò di incompetenza. Taccola doveva giocare. Il ragazzo sembra non riprendere più quella vigoria fisica che la natura gli aveva dispensato a piene mani.
Il 16 marzo del 1969, Herrera lo porta con la squadra a Cagliari per disputare la partita coi sardi ma lui non sta bene. Ha la febbre e la moglie confida che addirittura sanguinava dalla bocca. Non giocherà quell'incontro. Negli spogliatoi dello stadio Amsicora di Cagliari il malore fatale che lo uccide a nemmeno 26 anni. Si parlerà di shock anafilattico per un'iniezione di penicillina, poi di broncopolmonite, ma sulle cause della morte del ragazzo non è stata mai fatta piena luce.
"E tu leggera e rapida sui prati.
Ombra che si dilunga nel tramonto tenace.
Si torce,
fiamma a lungo sul finire un incolore giorno.
E come sfuma chimerica ormai
la tua corsa grandeggia in me
amaro nella scia"
Il 20 marzo 1969, una grande folla commossa fuori dalla Basilica di San Paolo partecipa ai funerali di Giuliano Taccola
Le parole di Carlo Petrini
"Io e Giuliano abbiamo giocato insieme e la sua morte, qualche anno dopo, mi ha sorpreso, ma non più di tanto. Avevo già visto come era stato in qualche modo isolato, era stato lasciato solo insomma e, nell'ambiente, quando un atleta viene isolato vuol dire che "scotta", che non ci si guadagna a stargli vicino insomma."
Le parole di Giacomo Losi
"Giuliano era stato da poco operato per una brutta tonsillite e dopo quell'operazione in genere dopo ogni allenamento gli si alzava la febbre, così gli facevano un'iniezione, non so di che, e stava meglio. E' andato avanti così per parecchio.[...] Il chirurgo che lo operò alle tonsille gli proibì di prendere certe sostanze, sembra per disfunzioni cardiache. [...] I miei compagni mi hanno raccontato che Giuliano fece un provino al mattino, ma disse a Herrera che non ce la faceva, così andò in tribuna. Ma dopo la partita scese negli spogliatoi per festeggiare con la squadra. Mi dissero che era felice, però dopo cinque minuti ha cominciato a dire "Mi sento male, mi gira la testa". Così l'hanno sdraiato sul lettino e gli hanno fatto la solita iniezione, credo il massaggiatore Minaccioni. Appena gli hanno messo l'ago e iniettato il liquido ha fatto alcuni sobbalzi e non si è più mosso. L'hanno lasciato lì. Herrera disse ai giocatori "Andiamo via, ormai è morto e non possiamo fare più niente. Mercoledì abbiamo un'altra partita". E l'hanno abbandonato lì. Ai miei compagni che mi raccontarono queste cose io dissi di dirle anche alla polizia e ai carabinieri. Non so se l'hanno fatto..."
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Ultima modifica di questa pagina: 11/11/2023