Pedro Waldemar Manfredini arrivò alla Roma nella stagione 1959/60 e nella partita d'esordio contro la Fiorentina segnò dopo soli 5 minuti. Militò in giallorosso fino al campionato 1964-65, dopo di che passò al Brescia e poi al Venezia.
Fu ribattezzato "Piedone", soprannome inappropriato come lui stesso spiegherà in seguito, che gli venne attribuito per via di una foto "sbagliata", che ne ingigantiva il piede destro. Ha sempre avuto un abbastanza comune 43 di scarpa. Indimenticabile "puntero" degli anni sessanta, fu celebrato anche da Vittorio Gassman, nell'episodio "Che vitaccia!" del film "I mostri", regia di Dino Risi.
Schivo e introverso al contrario del collega Lojacono. Nazionale argentino, vera macchina da gol, trascorse alcune buone stagioni a Roma, soprattutto quando arrivò (dalla Lazio) quel mostro di Selmosson, che scartava prima mezza squadra nemica, poi gli scodellava il pallone sulla linea di porta. E vai, Pedro! Con questo schema, Piedone in un derby affondò proprio la Lazio, una tripletta. Il regista Sergio Corbucci era innamorato di lui: "Un derby senza Piedone è come un film di Sergio Leone senza Clint Eastwood".
Nonostante l'aiuto di "Raggio di luna" Selmosson, Manfredini aveva davvero un fiuto innato per la rete. Un mito. Nella stagione 1962/63 si laurea, con 19 reti, capocannoniere del campionato italiano. Fu acquistato, allora quasi sconosciuto, dal Racing Avellaneda, per settantotto milioni. L'avvento di Carniglia gli creò un po' di problemi. Dopo poche apparizioni con le maglie di Brescia e Venezia, aprì un bar a Roma, a Piazzale Clodio (il bar "Piedone"), in seguito a Ostia (più precisamente Spinaceto), dove vive tutt'oggi ed ha pure una scuola calcio.
In Argentina cantavano per lui: "Dolores, dolores, ahi! Viene Manfredini con los platos voladores..." ("Viene da un altro pianeta, con i dischi volanti"). "Loro invece venivano a vedermi in bicicletta, coprendo distanze enormi su strade stroncagambe; oppure a cavallo; i più fortunati con il carro...". Luis Carniglia, l'allenatore che lo teneva in grande antipatia, borbottava: "Gli altri giocano e lui segna". Credeva di dire una cosa importante e spiritosa, e naufragava invece nell'ovvietà: i rapinatori da area di rigore, quale Manfredini era, così fanno. Tanto è vero che in Argentina lo chiamavano Minerai proprio per questo. Minerai era stato un cavallo famoso per essere un brocco e per avere vinto, inatteso, un derby. In una finale del Campionato Panamericano, l'Argentina prevalse per 2-0 sul Brasile: Manfredini segnò entrambi i gol e per il resto non beccò palla.
Con questi personaggi, con "Ragno" Cudicini in porta, uno spilungone di grandi qualità tecniche e soprattutto umane; con un poderoso atleta come Francisco Lojacono, un altro nazionale argentino, tutto sostanza nel fisico e nel gioco; con Dino Da Costa e Valentin Angelillo, con capitan Losi e con un ragazzone scarno ed efficace come Orlando, ex monello di Torpignattara, la Roma inaugurò alla grande gli anni '60, conquistando quello che resta tuttora il suo unico trofeo internazionale: la Coppa delle Fiere. Altro soprannome: "Mantredini" perchè era uso segnare triplette. Quattordici partite e nove gol in Coppa Italia; venti presenze e diciotto reti in Coppa UEFA, di cui detiene ancora il record di centri (per i giallorossi) in un'unica edizione, ben dodici, nel 1960-61, quando la competizione si chiamava ancora Coppa delle Fiere.
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Terminata la carriera da calciatore, Pedro Manfredini restò a vivere a Roma. Nella foto qui sopra lo vediamo dietro il bancone del bar che aprì ad Ostia.
Qui sotto alcune immagini di Pedro Manfredini
nel 1959/60 la sua prima stagione in giallorosso quando segnerà 15 gol, di seguito la rete realizzata alla Juventus nel 1960/61 e a destra la rete realizzata contro il Birmingham nell'incontro finale di Coppa delle Fiere.
Pedro Manfredini davanti il cartello Chi tocca l'AS Roma muore
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Ultima modifica di questa pagina: 10/09/2023