Herbert Burgess

Francis Herbert Burgess, fautore del calcio dinamico: grazie al suo lavoro nacque la leggenda del Campo Testaccio

Dal mensile "La Roma", luglio 2003, n.221 di Marco Impiglia

Nella prima Roma di Testaccio, spunta in fotografia la figura minima di un omino col pullover e un basco calcato sugli occhi, che sembra quasi la reificazione del personaggio di Andy Capp, riportato agli anni '30. Quell'omino si chiamava Francis Herbert Burgess, ovviamente inglese, e fu anche grazie al suo lavoro che nacque la leggenda di Campo Testaccio. Burgess venne assunto dal presidente Renato Sacerdoti a metà novembre del 1929.

Herbert Burgess, allenatore della Roma

Prese il posto di Guido Baccani, il pioniere, dei tecnici romani. Baccani si era mostrato uomo di poco polso, troppo votato alla teoria e poco alla pratica. Di tutt'altro spessore era Burgess. Giunto in Italia nel dopoguerra dopo una onorevole carriera da professional nel suo paese, aveva guidato il Padova, il Milan (1926- 27) ed ancora il Padova. In qualità di preparatore atletico, era stato chiamato a coadiuvare Vittorio Pozzo e William Garbutt in occasione della partecipazione azzurra al torneo olimpico di Parigi del 1924.

Herbert Burgess, allenatore della Roma

Come ricordò in seguito Vincenzo Biancone, egli prediligeva un football tutto basato sui passaggi in velocità, gli incroci, gli inviti negli spazi liberi. Portò alla Roma la cosiddetta teoria degli scambi, insegnando ai terzini a cambiare posto coi mediani o ad osare più avanti, di concerto con le ali. Applicò il gioco incrocia to in base al quale, con repentini mutamenti in attacco, il mediano sinistro si portava all'ala destra e quello destro all'ala sinistra. Stesso discorso per le mezze ali, che si scambiavano continuamente di posto.

Un calcio moderno che accelerava al massimo l'intelaiatura statica tipica del Metodo, il posizionamento a W che imperversò per tutti gli anni '20 e '30. Grande preparatore atletico, sottopose i giallorossi a intensi alle namenti volti a lavorare sulla potenza muscolare. Rodolfo Volk, il centrattacco fiumano sciabolatore dei laziali nei derby, ebbe sempre adire che uno dei segreti di quella Roma stava nel fiato - la stamina, come dicono i britannici - di cui essa disponeva. Oltre alle pattitelle del giovedì, gli allenamenti erano ben curati, infarciti di ginnastica a terra, e finivano invariabilmente con vari giri di campo e il salto alla corda.

La Roma del 1931/32 allenata da Herbert Burgess
La Roma del 1931/32 allenata da Herbert Burgess

Il personaggio Burgess

Herbert Burgess, calciatore del Manchester CityBurgess aveva nel suo carattere alcune ombre, che pesarono al momento del suo brutale allontanamento dall'A.S. Roma. La più profonda di queste ombre veniva proiettata dall'alcool. E forse per questo motivo i tifosi testaccini, abituati da sempre a fare i conti con l'oste, gli volevano bene. Ad esempio una volta, mentre la Roma stravinceva con una squadra di provincia, Burgess venne ripreso dall' arbitro e invitato a prendere la strada degli spogliatoi.

L'inglese però aveva fatto solo finta di lasciare il campo, e invece s'era messo sulle scalette seminterrate della botola, di dove, un minuto si e un minuto no, faceva capolino per controllare l'andamento della partita. Quelli dei popolari, accortisi della cosa, cominciarono a tenere d'occhio l'allenatore; ogni volta che il classico basco spuntava dalla botola, gridavano in coro: "Cucù! Cucù! Cucù!"

Herbert Burgess, allenatore della Roma

L'arbitro non capiva e il britannico era diventato rosso come un peperone, più ancora di quando s'imbibiva nelle osterie con la fojetta. Burgess, per dirla con Messer Brunetto, era uno di quelli che "per ghiottornia si getta in beverià'. All'inizio dissimulò questa sua pericolosa abitudine. Quando arrivò da Padova, destò anzi favorevole impressione per l'aurea regola che teneva a tavola: distribuire ai giocatori mezzo bicchiere di vino a testa; idem per se medesimo. Ma i giocatori, che avevano sentito parlare del suo vizio, carognette, lo provocavano facendogli annusare qualche fiasco. E allora vedevi il mister, terminato il pasto, correre in camera sua per tracannare la differenza e lasciarsi stropicciare i pensieri dalle fumose allucinazioni di chi non è da annoverarsi nella schiera degli "acquae potor".

In ritiro, poi, alla sera andava in scena una sorta di commedia alla De Filippo: Burgess, già verso le dieci, cominciava a fare il giro delle camere per controllare che i suoi ragazzi stessero a letto; ma la ronda si ripeteva alle dieci e mezza, alle undici, alle undici e mezza: ogni volta una visitina all'osteria più vicina per buttare giù un goccetto. Frequentava regolarmente una bottiglieria a Piazza Vittorio, nei pressi della quale aveva l'appartamento.

In trasferta non era raro che i dirigenti della squadra ospitante telefonassero all'albergo dove stavano alloggiati i romani, per avvisarli di avere rinvenuto il loro allenatore in una certa bottiglieria, o in una certa strada sotto un lampione, e che se lo venissero a prendere. Una cosa piuttosto umiliante. Per l'amore di Bacco, l'inglese, che tra l'altro non imparò mai l'italiano, aveva un suo modo d'intercalare bizzarro. Una volta rischiò anche la vita. L'episodio ce lo raccontò Fernando Eusebio, l'attaccante scomparso qualche anno fa e lanciato in Serie A proprio da Burgess.

"Una sera si prese una grossa sbornia. Tornò nottetempo all'alloggio e, nel mettersi a letto, prese male il materasso e s'impigliò un 'orecchio tra la rete e il ferro di sostegno. L'orecchio gli si staccò per metà. La mattina dopo Cesare Fasanelli, entrando per primo nella camera dell'allenatore, lo vide steso sul letto, bianco come uno straccio, le lenzuola intrise di sangue: sembrava assassinato. Cesare svenne all'istante; e per fortuna che c'era De Micheli, dietro, a sostenerlo. La scena era davvero forte. Burgess, del tutto ubriaco, s'era fasciato la testa con un asciugamano, a mo' di turbante. Convinto che bastasse quello per riattaccarsi l'orecchio. Invece, l'emorragia per poco non lo aveva spedito al creatore. Ce lo confermarono all'ospedale, dove lo portammo di corsa. E lì, il mister, ancora sbronzo, insisteva a dire al medico che non era niente, che l'orecchio se l'era rimesso a posto lui.

Nasce la Roma di Testaccio

Il 3 novembre 1929 Campo Testaccio apriva le sue porte. Quel giorno Burgess stava in tribuna a seguire la vittoriosa partita sul Brescia. Ma il 24 successivo i testaccini lo potevano vedere ai margini del campo mentre si sbracciava per indicare la marcatura su Meazza, nell'altrettanto vittoriosa partita con l'Ambrosiana-Inter (2-0). Era la Roma di Ferraris IV e Bernardini, Degni, Volk e Luduena Chini, l'argentino. Una squadra sostanzialmente immutata, rispetto alla stagione 1928-29, quando era stata guidata da Garbutt.

L'otto dicembre il Cinodromo alla Rondinella ospitò il primo derby della storia. A metà settimana, mentre i laziali si "nascosero" in una villa ai Castelli Romani, Burgess tenne i giallorossi in città, sicuro del fatto suo. La partita si risolse in un trionfo romanista, grazie al gol di Volk a un quarto d'ora dal termine.

Un mese dopo, il 12 gennaio 1930, la Juventus fu la prima squadra italiana a passare al Testaccio (3-2): atto d'esordio di un'inimicizia tra "zebre" e "lupi" destinata a trascinarsi intatta fino ad oggi. Il campionato fini bene, coi giallorossi attestati in sesta posizione. Nell'ultima partita, il 6/7/1930, surclassarono il Padova 8-0: miglior risultato numerico ottenuto al Testaccio in undici anni di storia.

II caso Masetti

Sullo scorcio di quella prima, brillante stagione, un altro episodio gettò ombra su Burgess. Riguarda il più grande portiere romanista di tutti i tempi, capitano nello scudetto 1941-42: Guido Masetti. Dopo aver difeso la porta dell'Hellas Verona, Masetti era praticamente a spasso quando venne convocato al Testaccio per un provino. Era il 15 maggio 1930. Raccontò in seguito lo stesso Guido: "Ero molto emozionato, vedendo intorno a me gente che si chiamava Bernardini, Chini, De Micheli, Ferraris IV; Mattei, Degni! Dovetti fare appello a tutto il mio coraggio per sostenere la prova nella porta degli allenatori. Nel tardo pomeriggio mi trovai nell'ufficio del comm. Sacerdoti, alla sede sociale. Il trainer Burgess riferì brevemente circa la mia prova, poi si rivolse a me, e in tono niente affatto incoraggiante concluse: Di portieri come lei ce ne sono mille".

La storia di Masetti alla Roma poteva finire lì. Ma Fulvio Bernardini, che aveva assistito al provino, lo volle a tutti i costi numero 1 di quella Roma che si presentava al via del campionato con grosse ambizioni. Sacerdoti e Biancone convinsero Burgess. Masetti venne richiamato da Torino e ad agosto firmò per l'A.S. Roma. Ma la macchia della bocciatura di Masetti rimase nel curriculum di Burgess. In seguito, il tecnico si ricredette sul valore del veronese, tanto da definirlo, non senza una dose di humour, "pazzo come un vero goalkeeper inglese, di quelli che a fine campionato vanno in processione a un tempio appena fuori Londra, dedicato appunto ai pazzi".

Campionato '30-'31: caccia alla Juve!

Nella campagna acquisti-cessioni, Burgess si preoccupò di mettere a posto la difesa, che aveva incassato 52 gol a fronte dei 72 realizzati. Oltre a Masetti, arrivò dalla Cremonese il terzino Renato Bodini. Per l'attacco, Sacerdoti e Biancone si assicurarono l'ala destra Raffaele Costantino dal Bari, l'interno sinistro Piero Ferrari dal Derthona e la mezzala argentina Nicola Lombardo. La stagione fu splendida, con la perla della vittoria per 5-0 sulla Juventus (15/3/1931); risultato che diede impulso addirittura alla realizzazione di un film ("Cinque a zero"). Alcuni "dispetti" arbitrali impedirono ai ragazzi di Burgess di portare a compimento la loro rimonta sulla Juve. Finirono secondi in classifica, con 51 punti in 34 gare, a tre lunghezze dai bianconeri.

A riprova che in realtà erano loro la squadra più forte, conquistarono vari record nell'annata. Segnarono più gol di tutti (87), subirono il minor numero di reti (31), Volk fu il cannoniere principe del campionato (28). Vinsero a Testaccio quindici volte, ne pareggiarono una, persero solo col Milan; ma poi andarono a riprendersi i due punti a San Siro, e con gli interessi. Fuori casa, i giallorossi mostrarono ben altra sicurezza rispetto al torneo 1929-30. Sette vittorie, sei pareggi, quattro sconfitte costituirono il positivo bilancio.

A campionato concluso la Roma fu ammessa alla Coppa Europa, che poneva a confronto i più titolati squadroni, britannici esclusi. Il 12 luglio al Testaccio batterono 2-1 lo Slavia Praga di Planicka, il leggendario portiere. Entrarono cosi in semifinale e Burgess fu portato in trionfo dalla folla, scese sul terreno di gioco per salutare i suoi campioni. L'anno dell'epico duello con la Juventus (come Bernardini definì la stagione 1930-31 nel suo diario) diede celebrità a quel gruppo di atleti, facendoli diventare gli eroi di Testaccio. La gente si accorse che essi avevano veramente creato una squadra, una compagine animata da uno straordinario spirito di bandiera. Fusi nella volontà, compatti nello stile che risolveva in concordia le qualità dei singoli, i "lupi" mordevano.

Si apriva cosi, nelle festose domeniche, un gioco garibaldino all'insegna dell'entusiasmo, ma anche riflessivo, scaltro, tutto pratico. Era, questo gioco, qualcosa di molto diverso da quanto si poteva vedere nelle roccaforti del nord; qualcosa che solo l'aria di Roma poteva inventare. L'orgoglio di appartenere all'ASR si traduceva in un ferreo sentimento di fedeltà ai colori sociali. Nessuno giocava per se. Burgess aveva trasmesso quel senso del collettivo cosi radicato e tradizionale nel football britannico. I giallorossi coltivavano fra loro e anche col tecnico un rapporto di amicizia sincera. Questo spirito poco militaresco e quasi "intimo" si addiceva al carattere romano: L'innata simpatia umana dei quiriti trovava nei "lupi del Testaccio" un' espressione autentica e pura. Batteva ritmico e in armonia il cuore di Testaccio, sul prato di gioco e sulle gradinate di legno. Dai popolari la tifoseria intonava la "Canzone di Campo Testaccio", intessuta dal poeta Toto Castellucci, amico di Trilussa.

L'epilogo amaro

Herbert Burgess, allenatore della RomaPer la stagione 1931-32, la rosa dei titolari rimase pressoche invariata. La Coppa Europa sfumò subito in settembre. La Roma le buscò di brutto dal First Vienna, in Austria, e in quel frangente i dirigenti s'intrattennero col santone del calcio danubiano Hugo Meisl, che caldeggiò l'assunzione di Janos Baar, presentato come un tecnico di valore internazionale. Baar venne posto sul libro paga come vice di Burgess: una scomoda presenza che suonava come un avvertimento.

La Roma iniziò non benissimo: 10 punti nelle prime 9 gare. Le fatiche di Coppa avevano influito sul tono atletico. La difesa dava segnidi cedimento, Masetti incassò la bellezza di 14 gol. Alla settima giornata fu battuta di misura a Casale. Bologna e Juve erano ormai lontane. Tornando in torpedone dal campo all' albergo, Burgess manifestò al massaggiatore Cerretti il proprio pessimismo: "Mi manderanno via. Eppure non è colpa mia se la squadra è stanca, se al principio della stagione non è stato possibile fare qualche ottimo acquisto, se ora non ci sono molte riserve veramente utili".

Alla decima, i giallorossi caddero a Firenze 3-1. Cinquecento tifosi, saliti in Toscana pieni di speranze, ritornarono delusi e irritati nella Capitale. Fu così che la previsione di Burgess si avverò. Il lunedì sera, nella sede sociale alla Passeggiata di Ripetta, venne data al mister la notizia di "un temporaneo collocamento a riposo". La comunicazione fu fatta alla presenza dei giocatori, che si sapeva stavano dalla sua parte. Francis Herbert Burgess contrasse il viso, che divenne anche più paonazzo del solito. Guardò i giocatori uno ad uno; poi, con le lacrime agli occhi, mormorò nel suo stentato italiano: "Ma allora, chi avrà cura dei miei ragazzi?".

La risposta fu che essi passavano sotto la guida dell'allenatore delle riserve, cioe Baar, anch' egli presente all'imbarazzante riunione. Burgess si avvicinò all'austriaco, gli tese la mano e disse: "Sinceri auguri per domenica prossima". L'inglese uscì così, con un atto di cavalleria sportiva, dal proscenio romano. Non vi sarebbe più tornato. La sua carriera proseguì per alcuni anni nelle province del nord. Quindi, al momento dello scoppio della seconda Guerra Mondiale, ripartì per l'lnghilterra, dove di lui nessuno seppe più nulla.

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Ultima modifica di questa pagina: 11/03/2022

 

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