Bloody Sunday
(2002) Regista: Peter Greengrass Attori:James Nesbitt, Tim Pigott-Smith, Nicholas Farrell

Derry, Irlanda del Nord, 30 gennaio 1972: la marcia per i Diritti Civili organizzata dagli irlandesi viene interrotta dalla repressione dell’esercito britannico. I soldati sparano sui dimostranti inermi: alla fine si conteranno tredici vittime.
La maledetta domenica del gennaio ’72, passata alla storia come la Bloody Sunday, è diventata un film ed ha vinto l’Orso d’Oro al festival di Berlino: per il regista inglese Paul Greengrass era importante proteggere dall’oblio la pagina più nera della recente storia britannica, specialmente adesso che è finalmente in atto il processo di pace.

Greengrass ci racconta la Bloody Sunday attraverso gli occhi di quattro uomini:
- Ivan Cooper, un protestante leader del movimento per i diritti civili;
- Gerry Donaghy, un ribelle cattolico di diciassette anni che vorrebbe sposare in pace la sua fidanzata protestante;
- Patrick Maclellan, brigadiere a capo dell’esercito;
- un giovane radio-operatore del reparto dei paracadutisti che prende parte alla rappresaglia.
La pellicola riesce perfettamente nel suo intento di denuncia, e sembra quasi un documentario per la crudezza delle immagini e il realismo della messa in scena. La telecamera sempre in movimento indugia sui primi piani dei protagonisti, ci mostra la battaglia attraverso i loro occhi, le pallottole, i mezzi corazzati, le barricate, il sangue.

Impossibile non rimanere indignati di fronte a Bloody Sunday. La carneficina di Derry fu un atto vile, ma rimase anche senza un colpevole: i militari coinvolti nell'operazione non solo non furono mai condannati, ma furono persino decorati dalla regina Elisabetta. Di fronte alle barbarie di quel giorno, molti ragazzi vennero spinti tra le braccia armate dell’Ira.
Asciutto, privo di sentimentalismi o di retorica, Bloody Sunday è un film da vedere. Per non dimenticare, per riflettere, per capire. Non è solo lo scontro tra Irlanda e Gran Bretagna ad essere rappresentato, ma tutte le convivenze difficili del mondo, dalla Cecenia alla Palestina al Kossovo. Quando alla fine del film si levano le inconfondibili note degli U2, da Bloody Sunday appunto, è naturale chiedersi con Bono Vox “Per quanto tempo ancora, dovremo cantare questa canzone, per quanto ancora?”

 

LA STORIA DI QUELLA MALEDETTA DOMENICA

Corriere della Sera, 30 Gennaio 2002

Trent'anni fa i paracadutisti inglesi
spararono su una folla di cattolici disarmati.

Ricorda con rabbia quella domenica di sangue a Derry

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA - All'inizio del 1972 l'esercito britannico aveva perso il controllo di Londonderry, la città dell'Irlanda del Nord affacciata sull'Atlantico, dove i cattolici avevano creato una «libera» Derry, come si chiamava prima che le sue terre divenissero proprietà, nel diciassettesimo secolo, della City di Londra. Ogni pomeriggio bande di ragazzi si riunivano all'«aggro corner», l'angolo degli arrabbiati all'ingresso del quartiere di Bogside, e lanciavano alle pattuglie britanniche tutto ciò che poteva far male: pietre, sbarre di ferro, bottiglie molotov, bombe con i chiodi. I teppisti, com' erano chiamati dagli inglesi, si rifugiavano dietro le barricate alzate dall 'Ira, l'esercito repubblicano clandestino, anzi dall'ala più dura, i Provos, che pretendevano l'unificazione delle contee dell'Ulster alla Repubblica d' Irlanda. Vicecomandante dell'Ira, a Bogside, era un apprendista macellaio di 21 anni, Martin McGuinness, responsabile della disciplina, che è oggi ministro dell' Educazione, per conto del Sinn Fein, nel governo della provincia, a Belfast: a Derry, racconta, l'Ira aveva pochi volontari, «ma migliaia di persone erano con noi». A Londra, però, il primo ministro Ted Heath era deciso a riportare a Londonderry «la legge di sua Maestà»: l'ordine alle truppe era quello di sgomberare l'«aggro corner», catturare i più agitati tra i teppisti e internarli senza processo, come si faceva da qualche mese.
Opera delicata, se è un'intera popolazione che ribolle. Invece Londra mandò una compagnia del Reggimento paracadutisti che non erano mai stati impiegati per l'ordine pubblico, armati d'un fucile ad alta velocità, calibro 7,62, che sparava pallottole capaci di bucare una lastra di ferro. La data scelta, inspiegabilmente, fu quella del 30 gennaio 1972, una domenica, quando invece dei soliti teppisti c'era da aspettarsi una gran folla, perché era stata convocata una marcia per i diritti civili. McGuinness, che era andato a dormire all'alba dopo una notte di ronda, era d'accordo con il suo comandante: «L'Ira non doveva affrontare con le armi i soldati» e portò l' ordine in ogni angolo, tanto che lo sapevano pure i britannici. Eppure il generale-maggiore Robert Ford ammette oggi che, contrariamente alle regole d 'ingaggio precedenti, aveva dato disposizione perché i soldati «sparassero a isolati capibanda». Così quella «bella giornata», in cui «l'umore della manifestazione era allegro», covava una giornata di sangue che avrebbe segnato il nostro tempo. Perché la domenica di trent'anni fa sia diventata il «Bloody Sunday», che nutrirà di odio un'intera stagione storica, resta tutt'oggi un mistero. Chi sparò per primo? La commissione Widgery, subito varata da Londra, disse che i colpi erano venuti dalla folla. Non era vero e quel verdetto fu ritrattato. Allora si disse che dall'«aggro corner» erano state lanciate bombe coi chiodi, ma pure questa tesi fu subito smentita. Impazienti, intanto, i parà avevano già sparato tre caricatori, ferendo un ragazzo di 15 anni e un uomo di 59. Poi scattò l'operazione degli arresti: McGuinness, che s'era ritirato dalle prime linee per timore d'essere preso e internato («non avevo avuto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di terribilmente grave»), sentì gli spari e vide «gente che scappava dappertutto». Fu una carneficina: Paddy Doherty, colpito ai glutei mentre fuggiva, fu soccorso da Barney McGuigan, un pittore disoccupato di 41 anni, che sventolava un fazzoletto bianco: anche lui fu ferito alla schiena, a morte. Cinque dei tredici cattolici uccisi erano stati colpiti alle spalle e in dieci minuti di fuoco altri quattordici innocenti, disarmati come Peggy Deery, una vedova di 38 anni, con 14 figli, colpita alla coscia mentre guardava i paracadutisti che espugnavano Bogside, rimasero feriti a terra, sanguinanti, senza un perché. Politicamente, il Bloody Sunday fece da catalizzatore al peggio che si preparava. A Londra, provocò lo scioglimento dell'assemblea di Belfast e il governo diretto da parte di Westminster, a Dublino l'incendio dell' ambasciata britannica, in Irlanda del Nord un'ondata di adesioni all'Ira, perché all'occupazione delle truppe britanniche i giovani cattolici si sentirono chiamati a rispondere col terrore. Nacque così la lunga guerra civile, che superò «l'accettabile livello di violenza» che un ipocrita ministro tollerava: in Irlanda del Nord innescò l'esplosiva mescolanza di vittimismo e orrore che segnerà anche i protestanti. L'umiliazione del Bloody Sunday autorizzerà i terroristi cattolici (repubblicani) a versare sangue britannico, mentre i lealisti (unionisti) invocheranno le proprie vittime, come quelle dell'attentato di Enniskillen, per infliggere mostruosità. Un fanatismo che porterà allo sciopero della fame, suicida, di Bobby Sands. Ora tutto ciò è storia, dal 1972 è passata una generazione: fa nostalgia il ritornello degli U2, «Sunday Bloody Sunday» e le parole scritte a caldo da John Lennon, «Il grido di tredici martiri riempì l'aria della Libera Derry», sono ormai impolverate. Eppure per il trentennale escono nuovi libri, se ne ristampano di vecchi, si producono film e inchieste tv, si riaprono piaghe che parevano cicatrizzate. La situazione è paradossale: dall'accordo del Venerdì Santo, firmato nell' aprile 1998 da unionisti protestanti e repubblicani cattolici sotto l'occhio di Londra e Dublino, in Irlanda del Nord c'è la pace: i «troubles», come sono chiamati, sono ufficialmente finiti. Ma il più grave fatto di sangue del trentennio, la strage di Omagh in cui 29 civili furono massacrati da una bomba posta dai nuovi duri dell'Ira (c'è sempre chi non accetta compromessi e perciò ammazza), è avvenuto a pace già firmata, nell'agosto 1998. E se la gente chiede d'istituire, sull'esempio di quanto si fece in Sud Africa alla fine dell'apartheid, una «commissione verità» dove le confessioni valgano come espiazione, fa perfino fatica ad andare avanti l'inchiesta di Lord Saville sul Bloody Sunday: alcuni, come l'ufficiale Robert Ford, hanno ammesso il loro ruolo (e dal memoriale di Martin McGuinness abbiamo tratto citazioni), ma ancora i paras tacciono, e se parleranno si nasconderanno dietro l'anonimato. Perciò, come scrive Marc Muholland in un libro appena pubblicato, «The Longest War», il processo di pace sembra la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Se è così, chi sta vincendo? In apparenza l'Ira, deponendo le armi prima di ottenere l'unificazione dell'Ulster alla Repubblica d'Irlanda (e perfino distruggendo, simbolicamente, un arsenale), ammette la propria sconfitta. Ma il Sinn Fein, suo volto pubblico, non è mai stato così forte: è diventato il primo partito dei cattolici in Irlanda del Nord, ha rappresentanti al Parlamento di Dublino e proprio pochi giorni fa i suoi capi, Gerry Adams e Martin McGuinness, sono entrati a Westminster, dove potrebbero sedere come deputati: gli irriducibili di trent'anni fa sono onnipresenti nelle isole britanniche. I protestanti, invece, sono disorientati: abituati a intendere la politica come antiguerriglia, non si sanno adattare al confronto pacifico. Il rancore emerso nel quartiere di Ardoyne, a Belfast, dove gli unionisti insultano le bambine cattoliche che vanno alla scuola Holy Cross, ne è la prova. E per contrappasso le truppe britanniche, che trent'anni fa spararono al Bloody Sunday, oggi proteggono le scolarette dalle bionde treccine, perché non piangano.

«Non posso credere alle notizie di oggi. Non posso chiudere gli occhi e farle andare via. Per quanto tempo dobbiamo cantare questa canzone?». Così comincia “Sunday, Bloody Sunday”, il brano degli U2 dedicato alla maledetta domenica del 30 gennaio 1972 quando a Derry i soldati britannici aprirono il fuoco su una manifestazione per i diritti civili dei cattolici, uccidendo 14 persone e ferendone 13. Sono passati 30 anni da quel giorno ed ha ragione Bono. Nessuno ha potuto chiudere gli occhi e cancellare l’orrore di quei venti minuti di follia militare: né le vittime che aspettano ancora giustizia, né i soldati che spararono, né il governo di Londra che alla fine ha dovuto fare i conti con una strage tanto a lungo negata ed ordinare un’inchiesta indipendente che in due anni di udienze ha già ascoltato 475 persone ed è costata 85 milioni di euro. All’inchiesta presieduta da Lord Saville, la più costosa nella storia legale del Regno Unito, è affidato non solo il compito di chiarire cosa accadde veramente quel giorno, ma di sanare una ferita ancora dolorosamente aperta. Nessuno, neppure i parenti dei 14 morti, si aspetta di veder finire in prigione i paracadutisti del primo battaglione che spararono contro il corteo. La comunità nazionalista di Derry e di tutto il Nord Irlanda, si aspetta invece il riconoscimento che quella sparatoria fu un atto illegittimo e brutale. Si aspetta che sia cancellato l’insulto del verdetto della prima inchiesta che nell’aprile del 1972 scagionò da qualsiasi colpa i militari, sostenendo che la responsabilità era di chi aveva partecipato ad una manifestazione vietata e si era messo così in una situazione pericolosa. L’inchiesta Saville - qualunque sarà la sua conclusione - è un atto di pulizia, necessario per procedere sulla via della pace in Nord Irlanda, per chiudere, anche negli animi dei nazionalisti, quel conflitto costato la vita a 3.500 persone al quale proprio il “Bloody Sunday” impresse una svolta cruciale. Nei giorni e mesi immediatamente successivi alla strage di Derry, manifestanti a Dublino bruciarono l’ambasciata britannica, l’Irish Republican Army (Ira) fece esplodere una bomba nel quartier generale dei paracadutisti ad Aldershot, in Inghilterra, uccidendo sette civili, e l’allora primo ministro Edward Heath sospese il parlamento di Belfast ripristinando il governo diretto di Londra sulla provincia. Doveva essere solo per dodici mesi e durò invece per 25 anni.

SUNDAY BLOODY SUNDAY - U2

I can't believe the news today

I can't close my eyes and make it go away

How long, how long must we sing this song?

How long? Tonight we can be as one

Broken bottles under children's feet

Bodies strewn across a dead end street

But I won't heed the battle call

It puts my back up, puts my back up against the wall.

Sunday, bloody Sunday

Sunday, bloody Sunday

And the battle's just begun

There's many lost, but tell me who has won ?

The trenches dug within our hearts

And mother's children, brothers, sisters torn apart. Sunday….

How long, how long must we sing this song?

How long? Tonight we can be as one

Tonight tonight Sunday…

Wipe the tears from your eyes

Wipe your tears away

Wipe your bloodshot eyes Sunday…

And it's true we are immune

When fact is fiction and TV is reality

And today the millions cry

We eat and drink while tomorrow they die

The real battle just begun

To claim the victory Jesus won

On a Sunday, bloody Sunday

Sunday, bloody Sunday.

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Ultima modifica di questa pagina: 16/12/2015